Tecnica a biro
La prima cosa che colpisce il pubblico è senz’altro la tecnica insolita.
La Bic, come il sacchetto di plastica da supermercato, o il neon, credo sia uno dei marker di questa frazione di tempo storico.
La lontananza dalla tecnica a olio è siderale.
Impossibile non provare stupore ammirato e perfino divertimento per l’impiego, in un fatto d’arte, di uno dei più familiari oggetti d’uso comune.
Temo però che non si possa separare la tecnica dal gesto.
La Bic, la biro, è funzionale al gesto, permette a questo di diventare segno, è soltanto al suo servizio… In sé, non è dunque così importante e decisiva come lo è il tratto.
Il segno appare tracciato in sequenza, è un algoritmo a volte febbrile. Le sequenze di tratti sono bidimensionali, come il linguaggio binario dei proto calcolatori, ancestrale pur nella sua modernità.
Un segno non solo chiaroscurale, non lacchè delle ombreggiature: la luce dei disegni di Andrea ha la desolazione, l’appiattimento e la spietatezza del neon. Non si cerchi profondità, coerenza di toni, sarebbe inutile. Non è una indagine importante.
Del resto anche il colore, disponibile nei “classici” rosso, verde, blu e nero Bic, non sembra descrivere, piuttosto scomporre.
Ma è nell’inchiostro, denso e grasso, che possiamo rivenire tracce di luce residuale, bagliori madreperlacei, fuochi di Sant’ Elmo.
I tratti sono inesorabilmente connessi al gesto, a volte parossistico, sempre energico, se ne può sospettare l’automatismo del trance, perchè Andrea è un visionario.
Non si può non tenere conto di questo, la biro è posseduta dal gesto come il sacerdote dal dio, l’immagine è allucinata dall’impeto immaginifico.
Nelle notti di lavoro illuminate artificialmente Andrea Pescio entra in risonanza con l’unisono misterioso dell’uomo e lavora. Lavora all’ Opera, operaio nell’ Arte.
La visione appare su supporti di grande formato, perchè possano contenere l’ampiezza del gesto, del gesto fisico, non solo creativo. Action painting?
Un furor che declina lo spazio.
Per tutti noi. |