A R M A G E D D O N(la grande battaglia)
|
Se vuole riuscire,l’umanità deve soprattutto accettare il futuro. Non c’è successo per chi resta con il passato. L'apertura di nuove strade è dunque il primo requisito, e la flessibilità in tale ricerca sta alla base del buon esito. |
Perché l’umanità è tanto frenetica?L’universo è percorso da brividi per le opere dell’uomo.E come ci si può attendere che questi progredisca? Per armonia, a forma deve corrispondere forma. L’evoluzione sarà più evidente solo quando I’uomo darà prova di conformarsi allo sviluppo universale. O egli avanzerà,dimostrando con molta chiarezza di immergersi nella corrente evolutiva, e di seguirla, migliorando se stesso per salire a livelli di tensione maggiore nel cosmo, o il suo regno dovrà essere distrutto. Nessuna delle sue imprese asseconda decisamente l’evoluzione. Se il suo impegno non è consono con lo universo, per migliorare, per il bene comune, la catena delle sue gesta è indegna. |
SUI MURI DI BERLINO: NO FUTURE! Questa è la breve storia degli avvenimenti che ho attraversato. Mi chiamo Franz Gary Swaat sono nato durante la Guerra di Corea, a Berlino città delle due Germanie, città di nessuna Germania, città della mente folle, del passato, dei fuochi eterni della Guerra. Ho vissuto in mezzo alla follia nostra, a contatto con le proiezioni della mente mia e dei quasi-uguali umani che mi circondavano. Ma lontano, sempre più lontano, una volta che il cervello uscì dal suo percorso e camminò su strade diverse. |
DILI, isola di Sulawesi, estate1997• Oggi ho avuto tre crisi, scosse di adrenalina e violenti brividi per tutto il corpo, mentre perdevo progressivamente il senso dello spazio e del tempo. Durante la notte le crisi sono andate intensificandosi, tanto che la mente cominciava a chiedersi dove sarebbe andata a finire e soprattutto come. Ero ansioso, nervoso ,saper con certezza di non poter sfuggire a quella tensione. Mettersi a letto ubriaco di Arak. La cosa più ovvia che poteva succedere era un ritorno al passato, con angoscia ripercorrevo mentalmente i fotogrammi di quell’orrore. Sudavo. Pensavo di aver sepolto quel mondo per sempre. Avevo a portata di mano il mio quaderno,dove segnalava alcune ricette per uscire dagli stati di crisi. |
1)Le parole non sono le cose 2)Ogni cosa è unica 3) La mente non è separata dal corpo 4)Non c'è distinzione fra l'osservato e l'osservatore. Tutto qua. Tutto qua? SI. Mi guardavo attorno:tutte le cose erano al loro posto. L'ascensore, lo schermo per le proiezioni delle forme pensiero, le luci per l'eteroscopia, l'orologio, gli schedari ,i tavoli da lavoro, il baobab vicino al visore, l'amaca, il letto, la foto di Franz da giovane ;fuori pioveva e la umidità saliva visibile dal pavimentò. Air conditioned, luci al neon, sedie di plastica, rosse, gate 11, ore 16, boarding; Marzo, uno fra i tanti: si torna a casa! 5 dollari in due tasche| una per persona, olandesi coloriti dalle vitamine, texani con troppi denti e tutti sani, mi scoppiano di salute davanti agli occhi,;;... Kuala Lumpur, caldo, città schifosa con i suoi banchetti Tamil fatti di miserie rubate ai cinesi, insopportabili, chiassosi fino a notte. Grattacieli lustrati di fresco per l'arrivo di un sultano capriccioso e demente, taxi che passano sui piedi, muri che disfano sotto gli occhi, occhi vogliosi di giovani muslims che passeggiano tenendosi teneramente per mano. Seduto aspetto questo catorcio di aereo per Mosca, un plico segreto chiuso nel mio cervello, quei discorsi proprio li di torno, ora si torna: vecchia baracca della mente, paese stracciato di ricchi maleodoranti, europa putrefatta, la testa fresca, cervello fuso, tramonto di un'isola 2000 miglia più a sud col suo riso e i suoi funghi, una pappa speciale equatoriale e colorata. Mi guardo i piedi, boarding ore 17. Gate, piano, paura di qualcosa, coca cola gelata caduta. Nello stomaco schifezze, naviganti tranquilli, esploratori dajaki dai volti scuri, cinesi consumati in arte di frode fra ristoranti e incensi, foto di maestri zen e attori dalle facce Ronnie-Malese. Vomito stringendo forte il lavabo, guardo il soffitto moderno e perfetto: Cristo ne ho basta di sto cervello frullato nel tempo, marcito col caldo! Mi spingo avanti stringendomi la testa, vomito tutti i vostri bei pensieri, li vomito colorato/vivo, mi farei questa cinese, veloce, veloce con la mia bava sulla faccia, la posso far urlare di piacere nella sua lingua e dappertutto. Tutti belli caldi in fila con ordine, piano piano andiamo verso l'uscita: Tutti. Non tutto. Mi trascinava una forza verso il balcone che guardava il mare, di fronte lo spettacolo degli Americani, le piccole testate di assaggio, grazioso dono ai governanti indonesiani per la fedeltà di ideali; dietro sullo schermo, la mia nascita, i bombardamenti, visi di bambini scaraventati nel sangue fino al cielo del loro dio. |
DILI,isola di Sulawesi,..........1999. In fondo alle note registrate sul visore apparivano gli appunti successivi ad ogni ascolto, prima che il mio assistente mi lasciasse era lui che si occupava di comunicarmele telepaticamente. Ora in casa facevo tutto da solo, avevo mandato via anche l'ultimo servo. Non sopportavo alcuna presenza fisica intorno a me. |
Anch'io nacqui, di nuovo, forse, ed era la fine di maggio, le trombe squillavano in Corea, dove banchettavano gli Americani, spiedini asiatici per i loro grandi stomaci affamati: non in difesa di niente, perché cosa c'era oltre le viscere sanguinanti? Ma i giornali parlavano diversamente. Intanto io vedevo la stufa legna e le mie mani rosse/gelate nella neve. La vecchia radio vomitava insulsaggini senza età, me compreso; le nonne di tutta la terra mi soffocavano lentamente fra le loro vecchie braccia ignoranti. Poi è apparsa lei, dal sesso indefinito, con le sue coscie abbronzate, la bocca piccola, le mutandine profumate divine, in lei la vita fluiva senza blocchi dai pori scintillavano perle su ognuno. In quell’aeroporto lucido si muoveva come fosse d'altro mondo, in missione per conto del suo dio diceva a tutti i suoi amanti veloci e sudati. Mi faceva impazzire i sensi mentre si guardava attorno in attesa. Sudato, grondavo ricordi, attorcigliandomi su me stesso in quell'enorme letto: lo avevo scoperto e fra visi, luoghi di adesso e prima, miei, prestati con sforzo e letti in giro; sapevo che non sarei mai più tornato al mio mondo ordinario. Altri avrebbero detto "normale". L'angoscia, strana bestia che ci vive dentro, mi ha preso, con furia, con passione, con certezza: questo è la mia casa, sono io e tutti quanti e nessuno ora e in altro tempo diverso. Ho provato per tre notti a risalire verso ciò che chiamano realtà fisica. Ho urlato alle pareti invisibili che io sono, ho chiamato dei nomi, credono che sia morto, non mi sentono. Forse stanno già chiamando un prete o qualcosa di simile per consumare in pace di coscienza l'ultimo rito di un mistero. Benedire quel corpo mio: stupidità. Li lascerò fare mentre si chiederanno perché dio mi ha voluto con se! Quello che chiamate dio non esiste! come posso dirglielo?!? Hanno bisogno di credere in dio come drogati disperati di solitudine, per continuare a dormire tutta l'esistenza. CONTENTI. La verità non ha strade, confini e balle simili. |
SINGAPORE,giugno 1999-
Aeroporto,come un bar dove si incontrano contrabbandieri di sogni. Arrivo, 15,30 - volo diretto da Jakarta, due giorni di viaggio tra bufere prima in nave da Dili, poi in treno da Surabaya. Ecco di nuovo come in un antico affresco perduto un angolo della civiltà. Occidente vestito da cinese, commercio caotico e rumoroso per le vie spazzate dal vento caldo, perdute armonie in fumerie dimenticate dai moralisti americanizzati. Fra i viali di Orchard Road ripercorro gli incontri di un tempo coi suoi grattacieli di specchi. Il fiume maleodorante pullula ormai di giunche e tronchi marciti dal tempo, gli inglesi se ne sono andati, le carcasse delle navi galleggiano giù al porto coperte di alghe. Ciondolo sciolto nell'umidità in cerca di qualcosa che mi ricordi la città di un tempo. Il silenzio di Dili qui . E’ cinese e il mistero che nasconde dietro il lento respiro penetra dai suoi occhi troppo cinesi per essere sinceri. Dove sono finiti i Nomi della mia vita? Sylvia e Luc a godersela al sole Malese, Victor nel suo casino di Bahia, strapieno di coca col suo nasino grazioso, e tutti quegli altri di cui ho distrutto la memoria stordendomi con esperienze inconcludenti? Quasi tutto mi stava abbandonando,i sensi rilasciati incidevano nel cervello segni sconosciuti, lo scorrere dei giorni era un disco inceppato da un secolo, solo la notte riusciva a ferirmi gli occhi. |
Camminavo col mio sudore parlandomi con dolcezza. Ed era una maledizione ogni 6 mesi venire fino qua da Dili per poter re stare tranquillo in Indonesia. Non c'erano santi neanche pagando. Grazie conosco la strada, la solita faccia di portiere con un pò più di rughe e lo sguardo ancor più spento. Non avevo nulla da dire a nessun conosciuto o sconosciuto, Brama dalla spalla destra mi sorrideva e dandomi una pacca sulla testa sembrava dire “Qui nel cervello sei andato amico." Ed io pensavo a quei milioni di cervelli che marciavano ordinati , ubbidienti, uniformi, compatti, silenziosi e sorridenti dietro ai Pifferai di turno. Li vedevo come una volta alla TV, grandi del loro numero, forti delle loro bandiere. Lanciarsi contro un nemico inesistente per la ricchezza dei loro padroni. Rovinati e putrefatti poi dai vermi nei campi d'europa, vittime giustificate comunque dal potere democratico-telematico che li aveva in pugno. A milioni scoppiarono i cervelli: piccoli palloncini, colorati nelle mani di bambini dalle facce raggrinzite dall'avidità. Calò poi il silenzio di tutti su quei rottami metallici e di carne, cominciava ancora una, grazie mio dio, un'era di pace e di sicurezza. Roba da vomitare. Ma era solo il passato che tornava forte a disturbare. E aspettavo di avere quel visto per tornare indietro nel folle solitario, umido buco che mi ero fatto a Dili. |