- "Alternativa a..." ad un personaggio alternativo.
- Ai miei cari nipotini Giuseppe , Stefano e Luca e còmpani...
- Il suo pensiero.
- Lettera al nipote Giuseppe .
- Alla comunità di Cavagliano.
- Questi miei fratelli più piccoli.
- Il segno evangelico di don Artibano.
- Memorie di don Artibano.
- A ricordo di don Artibano.
- Com'era Don Artibano.
- Don Artibano: impossibile dimenticarti!
- I preziosi consigli di don Artibano.
- Perchè il messaggio non resti nel sepolcro.

 

"ALTERNATIVA A..." AD UN PERSONAGGIO ALTERNATIVO
La sua vita per gli altri - di don Antonio Visco

E'sempre stato così e forse... sarà sempre così: i profeti ignorati o perseguitati in vita... acclamati o riscoperti dopo la loro morte. In vita ci disturbano e in morte cerchiamo di attenuare i nostri sensi di colpa per averli ignorati o allontanati da noi. Così è stato di lui. Don Artibano, ignorato o discusso in vita ed ora, dopo una morte che è stata il riflesso di una vita, riscoperto e riproposto a tutti noi "mediacri". Alternativo, non nelle parole, ma nella vita. Alternativo, ma non superbo o ribelle. Alternativo nel silenzio di una vita umile, senza mai apparire e senza fare rumore.
Avrebbe potuto fare il macchinista dei treni con un buon posto e un lavoro sicuro... non gli bastava. Avrebbe potuto fare il tranquillo parroco di campagna, anche questo non bastava.
Avrebbe potuto godere consensi istituzionali per la sua affidabilità e le sue capacità... non gli interessava. Alternativo nel lavoro... alternativo nella casa... alternativo negli  affetti...   alternativo  nella chiesa.
Più vicino a Francesco d'Assisi che ad altri esponenti della chiesa che pure danno e hanno dato tanto. Più vicino a Cristo di quanto lo siamo noi che ammiriamo la vetta, ma facciamo fatica a scalarla. Uomo - Cristiano - prete alternativo, vogliamo approfondire la sua vita perché la nostra non si perda nella rete della mediocrità che noi più orgogliosamente diremmo normalità. Quanto qui abbiamo riportato di lui vuole essere soltanto uno stimolo a ripensarlo e a capirlo più in profondità al fine di essere anche noi un po' alternativi. Non c'è nulla di completo né per quantità, né per qualità di trattazione.
Ci auguriamo che altri più informati e più competenti di noi ricostruiscano la vita, il pensiero e le opere di questo personaggio ancora sconosciuto ai più, ma eccezionale.
Questo inserto della rivista Alternativa è solo un piccolo e affettuoso ricordo di un amico che resterà sempre nei nostri cuori perché ci aiuti a camminare nei percorsi "Alternativi" della vita.

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Supplemento al n° 4/2002 - periodico d'informazione sulla condizione giovanile ossolana dell'associazione "Alternativa a..."

 

 

AI MIEI CARI NIPOTINI Giuseppe, Stefano e Luca e còmpani...
Don Artibano nella vigilia dell'ordinazione sacerdotale 24 giugno 1972

Vi lamentate che siete senza zio
e a dir il vero vi do ragione anch'io
ora non posso sapere dove andrò
quale sarà il paese in cui vivrò

Forse voi non riuscite ad immaginare
quanti parenti avrete da incontrare.
Se la mamma non insegnava a Pontemaglio,
non conoscereste quei bimbi, o mi sbaglio?

Se papà non lavorasse insieme ai macchinisti,
i suoi amici quando mai li avreste visti?
Ebbene, la vostra zia che sta a Torino
vi ha procurato non un sol cugino.

Se non ancora voi li conoscete
quando li avrete visti li amerete.
Non sono belli, ma cari al Dio vivente
ognun vostro fratello, più che parente.

Anche lo zio assai ne troverà
e di loro spesso vi parlerà
perché anche voi a lor apriate il cuore
e la vostra casa in cui c'è amore.

Intanto per non esser sempre assente
chiedo a voi di correr con la mente
aprendo il finestrino piano piano
penserete per forza a zio Artibano
il quale osa a chiedervi preghiera
perché le sue braccia possan rimanere
sempre aperte per stringere i fratelli
come una mamma fa con i suoi monelli.

Forse vi chiedo troppo? Non so dirvi!
Cristo li ha amati tanto da morirvi! ! ! !

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Supplemento al n° 4/2002 - periodico d'informazione sulla condizione giovanile ossolana dell'associazione "Alternativa a..."

 

 

IL SUO PENSIERO

la chiesa madre e maestra
...Tanti amici poveri e soli cercherò
e di loro spesso io vi parlerò
perché anche voi a loro apriate il cuore
e la vostra casa in cui vi è amore.
Per questo oso chiedervi preghiere
perché le miei braccia possan rimanere
sempre aperte per stringere i fratelli
come una mamma fa con i suoi monelli.
Forse vi chiedo troppo?
Non so dirvi!
Cristo li ha amati tanto da morirvi! ! !

... la bibbia confrontandosi ogni giorno con le scritture

Al nipotino di 7 anni che gli faceva compagnia durante una breve convalescenza, Artibano scriveva: "... quando Gesù è stato portato al tempio, Simeone l’ha preso in braccio e, mentre lui sorreggeva il bimbo, Gesù, che è Dio, sosteneva Simeone nella sua fragilità. Anche tu hai fatto così con me... Grazie...''
In un'altra lettera ai nipoti scriveva: "... crescete impa­rando la gioia e l'amore verso i poveri, i malati, i vecchi, gli orfani, gli amici e i parenti, tra i quali ci sono anch'io e c'è un vostro fratello, un amico, un povero che è più di un povero, ma che vi può dare tutto ciò di cui avete bisogno per fare di bene..."

 

... Dio soprattutto nei poveri con i quali ha condiviso la vita

Se ti metti sulla strada del Calvario e vedi un uomo che porta la croce e osi porgergli la mano per asciugargli il sudore del viso, lui su quella mano lascia impressa la Redenzione.
Ora leggo un po' meno, ma cerco di leggere i segni di Dio nelle persone, nelle relazioni umane. Già quando ero in ferrovia, al termine del viaggio, guardando dal finestrino del locomotore, mi domandarono: "Dove vanno? Da dove vengono? Perché corrono ? Che progetti ha Dio su di loro ? " Un amico mi ha invitato a cena. La tavola era illuminata da due ceri al cimitero (gli avevano tagliato i fili della luce). Mentre mangiavano mi ha raccontato i sogni di quando ero giovane; mi hai fatto trascorrere una di quelle tante sere, dove lui, il mio Signore, si cinge il grembiule e mi fa sedere a tavola per servirmi anticipandomi il banchetto dell'Agnello. Ciao e pensami così immerso nella misericordia fattasi carne.

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LETTERA AL NIPOTE GIUSEPPE

Caro Giuseppe,

Forse quando registrerai La leggenda del santo bevitore la potremo vedere insieme, mi riuscirà possibile (si riuscirà?!) farti intuire qualche frammento del segreto che sta nelle realtà.
Non ho premura perché i segreti nascono nel mistero che ci avvolge, a volte ci raggiungono per vie inaspettate, che sono le vie di Dio, che appunto non batte le nostre strade.
Da quando Gesù, l'immagine del padre, ha messo piede sulle nostre vie, soffriamo per quanto breve tempo le ha percorse e quali contraddizioni ha suscitato e quanti dissensi proprio tra quelli che costruiscono le vie della convivenza umana, e ne stabiliscono le regole di circolazione.
Basti dire che la regola del sabato, l'intoccabile sabato ebraico, nel quale si esprimeva il rispetto, la devozione e la sudditanza alla maestà dell'Altissimo, proprio quella regola Gesù la infrange spudoratamente portandosi nella sinagoga a disturbare le liturgie in nome dell'uomo e dell'uomo scordato, sconcertando gli uomini dell'ordine, evidentemente disordinato negli occhi suoi! Non è l'uomo per il sabato ma il sabato è per l'uomo! Non si tratta di un principio senza regola. Totalmente agli antipodi.
I vangeli sono una sintesi di pochi mesi, di una vita di un uomo tra gli uomini, tra i quali è prevalsa la ragion di stato, dove per conservare l'ordine (disordinato) della regola, si è dovuto sacrificare l'uomo. Quell'uomo si è trovato a solidarizzare, guarda caso con i bevitori, ladri, donne di strada che, nel loro disordine di vita, custodivano inconsciamente il segreto per capire il suo linguaggio, disordinato agli occhi di chi è in regola e bisognoso della misericordia divina.

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ALLA COMUNITA' DI CAVAGLIANO
Lettera sul vero senso della penitenza

Una sera, rientrando in una casa di città in una famiglia assai numerosa, ho capito che si stava consumando una cena piuttosto scarsa per i tempi che corrono.
A quel tavolo sedeva anche un estraneo, un compagno di lavoro del capo famiglia, un ragazzo solo che evidentemente era stato invitato. Mi hanno fatto sedere e hanno diviso anche con me quel che c'era sul tavolo: mezza pagnotta di pane pugliese e ali di pollo (chi fa la spesa sa che hanno un prezzo piuttosto basso rispetto ai petti e alle cosce). Col brodo avevano fatto probabilmente la minestrina per il pranzo con i bambini. Sedendomi mi sono sentito come un ladro che portava via qualcosa dalla bocca di qualcuno; mi viene servita nel piatto un'ala, era di pollo sì ma un'ala e una sola, per di più di un pollo assai scheletrico. Quel giorno era un venerdì di quaresima! Mi è venuto subito in mente che non si poteva mangiare la carne, ma a parte il fatto che lì si trattava di sola pelle e ossa, se avessi seguito quel pensiero avrei perso l'occasione di vedere in quella cena il richiamo al vero digiuno, alla vera penitenza.
Da ragazzo mi ricordo invece di aver dato una mano a servire ad un pranzo in casa parrocchiale. C'era il vescovo che aveva fatto le cresime ed era il giorno del Sacro Cuore di Gesù, festa patronale. Quel giorno cade sempre di venerdì, non era di magro solo ai venerdì di quaresima ma tutto l'anno. Il vescovo aveva dato la dispensa del magro per non mettere in difficoltà le famiglie dei ragazzi cresimati. Per rispetto alle leggi della chiesa e per evitare di creare disagio al vescovo si era preparato di magro in chiesa parrocchiale, ma non ricordo quanti piatti la cuoca aveva saputo preparare a base di pesce, uova e formaggi vari. Da ultimo, per deferenza alla dispensa del vescovo, un pezzettino di stufato. Non si può neppure dimenticare quanti pericoli di indigestione o di appesantimento dello stomaco e del fegato io in persona ho corso e la maggior parte di noi ha provocato, con consumi esagerati di ogni ben di Dio che oggi abbiamo a disposizione. Basti pensare ai pranzi a cui partecipiamo in occasioni varie, in ristoranti della zona, dove dopo l'antipasto si è già sazi e proviamo persino fastidio per ore nel vedere passare tanta abbondanza di cui spesso si fa addirittura spregio.
A Cavagliano, da qualche anno, nella raccolta delle offerte in chiesa, il giorno di Pasqua portiamo il frutto delle nostre rinunce quaresimali, dopo aver celebrato nella settimana santa la passione di Gesù. Quella raccolta che non supera le 180 000 lire, viene inviata ad enti che si occupano di persone a cui manca l'indispensabile per vivere. Se lo paragoniamo alle 15/20.000 lire che ci occorrono per partecipare ad una cena di carnevale, c'è proprio da dire che siamo ben lontani dall'aver inteso il senso del digiuno, anche se facciamo magro i venerdì di quaresima e mangiamo un po' meno il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo, in cui la chiesa propone il digiuno. Abbiamo tempo fino ai primi di aprile per pensarci su, ma anche per allenarci ad una vita più austera che, tra l'altro, farebbe bene anche alla nostra salute. Un saluto fraterno

don Artibano
Cavagliano 19/03/1983

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QUESTI MIEI FRATELLI PIU' PICCOLI
Omelia del Vescovo ai funerali

Questo Sacerdote, che ora è nel silenzio, in realtà è stato ed è anche in questo momento per noi tutti una parola di Dio. Con tutta la sua vita, ci dice di lasciare scendere nelle profondità di noi stessi le parole che abbiamo ascoltato dal capitolo XXV del Vangelo secondo Matteo: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere... Ogni qualvolta avrete fatto queste cose a uno solo si questi miei fratelli più piccoli, l'avrete fatto a me".

UN AMORE INVINCIBILE

È un grande dono per la Chiesa che sorgano, all'interno della comunità, delle persone che, anche per singolare grazia di Dio, si sentono spinte in maniera che si direbbe invincibile a tradurre ogni giorno con coraggio, sacrificio, umiltà, nascondimento il precetto della carità, dell'amore ai poveri e agli ultimi. Una persona si questo genere ne può trascinare molte altre, può aprire gli occhi a una comunità intera, può rinnovare la sensibilità evangelica del popolo cristiano.
Don Artibano è stato una persona di questo genere. Ne ringraziamo Dio e speriamo che altri santi della carità sboccino tra noi e che noi sappiano riconoscere quelli che già ci sono e che, forse, non abbiamo occhi per vedere, né orecchi per ascoltare.

IL VOLTO DELLE NOSTRE COMUNITÀ

A tutti noi che siamo qui presenti, e in modo particolare ai numerosi Sacerdoti che concelebrano questa S. Messa, la testimonianza di don Artibano mi sospinge a dire che dobbiamo tutti farci carico perché il volto della carità, così pienamente incarnato nella sua persona, divenga volto delle nostre comunità, splenda nella vita e nello stile delle nostre Parrocchie e della Diocesi intera.
In vista di questa conversione tutti abbiamo una parte importante da svolgere. Penso però che la responsabilità maggiore ricada sui Sacerdoti, educatori e pastori delle comunità cristiane, e anche su di me, Vescovo e padre nel nome di Cristo crocifisso, in questa Diocesi. Dobbiamo dedicarci a questo compito perché la strada della carità, per quanto bellissima, è sempre ripida e chiede dedizione fino al sacrificio. Lo dobbiamo fare perché l'atmosfera che pervade la nostra società privilegia l'immagine, la competizione, il successo; non invece la dedizione, il cuore, lo sguardo attento e amoroso sull'altro. Lo dobbiamo fare perché non avvenga che, mentre onoriamo il crocifisso, ne contraddiciamo il significato più profondo, che è quello di essere il segno di un amore pronto fino al sacrificio supremo per l'altro.

NELLA MEMORIA DI S. VINCENZO DE'PAOLI

Sono contento che questa celebrazione avvenga mentre la liturgia fa memoria di un grande santo della carità, S. Vincenzo de'Paoli. Anch'egli si è convertito ai poveri. Questo cambiamento è avvenuto nella sua vita quando egli era già diventato prete, e però aveva ancora gli occhi chiusi sulle esigenze più profonde del Vangelo. Quando finalmente ne fece la scoperta, se ne lasciò trascinare per tutto il resto della vita. Insieme con lui, in questi quattro secoli, tantissime altre persone, soprattutto Religiose e Religiosi, ne hanno seguito l'esempio. Anche don Artibano fa parte di questa schiera di santi della carità. Ringraziamo Dio di avercelo donato. Preghiamo perché non ci lasci mancare nemmeno in futuro persone che incarnano questo dono. Se ciò avverrà, molti, poveri e sofferenti saranno aiutati a vivere e troveranno forza e pace.

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IL SEGNO EVANGELICO NELLA VITA DI DON ARTIBANO
Le tappe del suo cammino - di Padre Mario Airoldi

"Vi sono alcuni che Dio sceglie per essere segno. Nessuno può ardire di volerlo essere"
(1 Cor. 13,2)
E’ Dio che chiama: occorre rispondere, costi quello che costa. Artibano è un segno suscitato dal Signore per ricordarci l'amore evangelico per gli ultimi: la scelta preferenziale di Gesù.

LA VOCAZIONE ALLA CONDIVISIONE

Si era agli inizi delle comunità di vicolo Ognissanti e di via Giannoni. Con suor Graziella ed altri operatori si era preso parte all'incontro delle comunità minorili del CNCA a St. Pierre, nell'aprile del 1977. Al ritorno, in auto, si discuteva tra noi sul rapporto tra servizio e condivisione. Erano anni caldi e di defla­grazioni nella società italiana. I nostri ragazzi erano come dei sismografi. Riconoscevamo che le due dimensioni della carità erano complementari tra loro. Il servizio richiede inevitabili compromessi e mediazioni con gli enti pubblici e i servizi sociali. La condivisione è proposito e impegno di presenza diretta e di immedesimazione totale. Sentivamo che questa era la vocazione di Artibano: immedesimarsi negli ultimi, nei fragili, negli sventurati, con la tensione interiore e lo spasimo di identificarsi il più possibile: povero tra i poveri, ultimo tra gli ultimi, in cui adorava la presenza sacramentale di Gesù, Dio fatto carne nella carne del più piccolo dei fratelli. Così fu la sua vita. Così è stata la sua morte.

LE VISCERE DI MISERICORDIA

Negli anni '70 veniva esposto nelle sale dei nostri oratori un poster del Gruppo Abele che riportava, nella scritta, un pensiero di don Primo Mazzolati: "Fa strada ai poveri senza farti strada".
Artibano rifiutava con durezza l'etichetta di "prete dei poveri" (anche se lo era in modo inimitabile). Diceva di essere un peccatore, l'ultimo dei peccatori, "a bagnomaria nella misericordia di Dio", "nelle viscere materne dell'amore misericordioso", secondo la più concreta etimologia biblica. Ricordava spesso l'immagine straziata di Osea, simbolo di Dio tradito nell'amore e che sempre ritorna ad amare e a "rifidanzarsi" con noi.
Se Dio ha misericordia con noi che siamo stati tante volte infedeli alle enormi grazie che ci ha dato (prima di tutte quella di essere preti), come possiamo usare durezza verso chi è partito svantaggiato nella dura lotta della vita, segnato dalle stigmate fin dal grembo materno?
Talvolta lo rimproveravo di idealizzare troppo i poveri, di non esigere da essi una maggiore disciplina. Dovevo arrendermi e riconoscere con lui le meravi­glie di grazia nei santi bevitori e nelle sante prosti­tute che abbiamo visto salire in Paradiso in una scia di luce.

I CROCIFISSI E IL CROCIFISSO

Più che il Cireneo egli amava ricordare la Veronica, la pia donna soccorrevole, dedita al conforto dei condannati a morte, che compie un gesto di amorevolezza verso il condannato dal volto insanguinato e oltraggiato più di tutti e si ritrova, con stupore, stampato prima nel cuore e poi nel santo lino il Volto dell'Uomo - Dio. E cantava la strofa popolare della Via Crucis, derivata da Jacopone: "Santa Madre, deh, voi fate..."Amava ricordare il bacio di Francesco al lebbroso. Francesco, vincendo la ripugnanza, accostò le labbra al volto putrido e orrendo, intravide il volto bellissimo e divino dello Sposo... e iniziò il Francescanesimo (lo conferma nel suo testamento). Poi restaurerà il Crocifisso di S. Damiano. In ogni crocifisso è presente il mistero di Dio crocifisso. Ogni bacio dato al fratello restaura in lui l'icona divina. Artibano ricordava spesso il geniale commento che un giorno ne fece don Germano: Francesco non fece nessun atto di servizio al lebbroso, egli fece molto di più, con un bacio di fraternità ricondusse  nel   consorzio umano l'emarginato totale. Ne parlavamo un giorno con il vescovo Renato ed egli, pacato e fine, osservò: "Già, dobbiamo tenerlo presente in ogni servizio ecclesiale, per non correre il rischio di far bene le fasciature e di non baciare la persona".

L'INTELLETTO DI AMORE

"Beatus qui intelligit super pauperem et egenum". "Beato chi ha intelletto d'a­more per il povero e il fragile".
Recita il primo versetto del salmo 40, che la liturgia orientale, nella settimana santa,  applica al Povero - Cristo.
Come pochi, Artibano sapeva cogliere sotto la coltre degli oltraggi della vita, nel cuore degli sventurati, i palpiti immacolati di umiltà in cui si rovescia, magari solo per un attimo, la vertigine della grazia. Come lo sguardo perspicace di Gesù che coglie, tra i benefattori insigni, la generosità totale e improvvida della vedova che versa, schiva, il suo obolo al tempio. Oh, quante volte lo ricordava! "Virtù private sotto pubblici vizi", rovesciando il titolo di un famoso film sull'ipocrisia delle false nobiltà.

IL GRIDO A SQUARCIAGOLA

Contro l'ingiustizia e l'ipocrisia aveva le parole roventi dei profeti come Amos, come Isaia. "Io non sono un profeta", diceva spesso come Amos, "sono un tagliatore di sicomori. Ma se è Dio che fa parlare, il fuoco brucia nelle ossa". Di Isaia ricordava spesso l'ingiunzione che Dio gli fece: "Grida a squarciagola". È il grido di Dio che ascoltiamo ad ogni quaresima per la nostra conversione. Il grido di Dio e tuttavia e sempre con il cuore colmo di misericordia e di attenzione: "Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva".
"Oh, questo Artibano, duro con i forti, tenero con i deboli. Quante volte ha polemizzato con me, ora che sono in ospedale, viene a trovarmi ogni giorno", diceva stupito qualcuno che ne aveva sperimentato la polemica e la premura. Era così: come una calamità attirata là dove c'è sofferenza. Alla più dura polemica, di cui soffriva spesso spasimando, seguiva l'abbraccio tra le lacrime e il soccorso tempestivo e fedele nel tempo della prova. Portava in sé una miscela esplosiva.

LA MISCELA ESPLOSIVA

La passione per la giustizia di suo padre Aristide, toscano pungente e forte. La pietà intensa di sua madre Teresa, ossolana dalla fede tenace come le pietre della valle e dolcissima. Sua madre, negli ultimi anni di vita trascorreva ore e ore in preghiera nella chiesa di Vogogna. Artibano raccontava episodi decisivi nel l'infanzia povera di suo padre che spiegavano la sua passione di giustizia per i diseredati. L'anima mistica di sua madre gli consentì di compiere dentro di sé la
sintesi che prevenne possibili fratture.
I Padri Greci chiamavano Gesù Cristo Verbo "sinte­tico"', vero Dio e vero Uomo da amare per riamare i fratelli.   

A VOGOGNA È NATO IL 21.01.1934.

Era un ragazzo vivacissimo. Con il fratello maggiore Annibale e la sorella minore Annita (poi suor Maria Grazia del Cottolengo), crebbe nelle fila dell'Ac, alla scuola di don Ezio Bellorini. Fu un delegato Aspiranti geniale e creativo.
Conobbe presto la dura esperienza del lavoro; divenne ferroviere macchinista. Sul lavoro maturò la sua vocazione sacerdotale. Ricordava agli amici come, arrestato il treno in stazione, si soffermasse a guardare la folla dei viaggiatori e a pensare: ciascuno porta in sé un mistero di peccato e di grazia, quanti di questi incontreranno un ministro di Dio che faccia lievitare in essi la grazia? Entrò in seminario nel 1964, a trent'anni.

IN SEMINARIO

In seminario si impegnò a fondo. Vennero gli anni caldi. Artibano non mancò di prendere posizioni forti, senza tuttavia giungere a rotture, e come sempre pagando di persona. Amava troppo la Chiesa, il seminario, mons. Spagnolini, don Giacomo, don Vandoni e poi don Germano. Fiorirono amicizie intense che rimasero indissolubili: Pasquale, don Piero Minutillo, don Guerrino, don Ernesto. Alcuni degli amici più cari furono recisi nell'incidente di Domo e trapiantati di là. Nell'amicizia era di una fedeltà totale a cui si era sempre impari.

LA PRIMA MESSA E IL PRIMO MINISTERO

Celebrò a Vogogna la sua prima Messa il 25.06.1972. Il suo primo ministero a S. Agabio: trascinatore dei giovani e amico dei poveri. Un legame simbolico unirà la sua vita a S. Agabio: prima via della Riotta, casa dei poveri, poi la casa ospitale di Pasquale, infine la sterpaia di via Precerutti, per morirvi povero.

VICOLO OGNISSANTI

Nel settembre del 1976 si unì a me nella comunità minorile di vicolo Ognissanti, istituita come alternativa al riformatorio per un gruppo di ragazzi con problemi di devianza. Scrisse una lettera di addio ai parrocchiani sulla Campana di S. Agabio del 18.09.1976, con il
suo stile carico di affetto e di appassionata provocazione. Fu l'inizio per me di una fraternità che sento come una delle più grandi benedizioni della mia vita. Abbiamo vissuto momenti intensissimi ed anche drammatici. La comunità era un crocevia che ci ha aperto amicizie impensabili. Tante volte ci siamo detti, con le Veroniche che erano con noi, che, nell'ordine della grazia, abbiamo ricevuto così tanto da non bastarci l'eternità per ringraziare il Signore. Soprattutto la scoperta stupita della sua Gratuità, capace di fare cose nuove sulla soglia dell'impotenza umana più totale. Abbiamo compreso più che mai il mistero del buon ladrone che è il primo santo della cristianità.

IN FONDERIA

Un giorno (io ero in ospedale) Artibano accompagnò i ragazzi all'ufficio di collocamento. Non avvezzi ad una vita strutturata, essi avevano paura di non reggere alla disciplina del lavoro.
Imploravano Artibano di stare con loro. Senza potersi consultare, sentì in coscienza di non potersi sottrarre all'appello. Acconsentì, per una risposta di vicinanza solidale. Per questo motivo rifiutava l'etichetta di "prete operaio". Iniziò la dura fatica alla fonderia Sorgato. Con il suo cuore grande contrasse profonde amicizie con i compagni di lavoro e partecipò alle lotte e all'agonia della Sorgato e del mondo operaio in quegli anni tumultuosi. Lo rivedo tornare dal lavoro dopo il turno di notte: un breve riposo e poi subito in giro per la città incontro alle sofferenze della gente.

VIA DELLA RIOTTA

Di notte dormiva nel "buco " di via della Riotta: una stamberga che più povera non poteva essere, dove potevano trovare rifugio i dispersi e i disperati.
Lì, tra gli ospiti fissi, si formò la sua piccola famiglia di elezione: Fiorenzo, Sandro, Giovanni e Alfio, aperta all'accoglienza    di    chiunque cercasse rifugio per dormire. La sua famiglia: bastava che Fiorenzo gli facesse un regalino per renderlo felice. Nel maggio 1978 chiudemmo la comunità di Ognissanti, nei giorni cupi del Sequestro e dell’omicidio di Moro. Dal cuore paterno del vescovo Aldo sgorgò un progetto: Artibano a Cavagliano ed io alla Badia. La Badia per un servizio di accoglienza più di tipo spirituale. Cavagliano per l'accoglienza dei tribolati verso cui la città è meno accogliente. La buona gente di Cavagliano talvolta brontolava, ma prese ad amare "i fratelli più piccoli del nostro Dio" e del loro prete. Ed amò sempre di più questo prete così singolare e stimolante, che arrivava ogni sabato dopo una settimana in fonderia.

LA SCELTA CRUCIALE

E venne il tempo della scelta cruciale, da lui sofferta. da molti incompresa, forse discutibile, ma che in Artibano fu sempre vissuta con trasparente coerenza. Richiederebbe troppo spazio spiegarla compiutamente. A seguito del concordato di Craxi. si avvicinava la data della riforma del Clero italiano. Si passava dal sistema beneficiale al sistema di perequazione comunionale. Artibano si era battuto già anni prima su questi temi di riforma ecclesiale e desiderava che, dal momento che la si operava, che questa si facesse fin in fondo, nello spirito della Chiesa antica e della Quinta piaga di Antonio Rosmini. I beni della Chiesa sono di Dio e dei poveri: i preti ne attingano come servi di Dio e dei poveri. Voleva che, nella destinazione delle offerte dei fedeli attraverso l'8 per mille, le istituzioni a servizio dei poveri fossero le prime destinatarie con una quota definita e che per il sostentamento del Clero provvedesse il più possibile la massa delle offerte deducibili. In quei giorni (dicembre 1986) era stato nella famiglia di un caro amico, poco dopo la morte della madre. Tra i fratelli si facevano ipotesi nella ripartizione della eredità. Erano sei fratelli, l'ultimo mentalmente ritardato. Il padre si accorse che le parti in discussione erano cinque e ne chiese la ragione. Gli fu risposto che il sestogenito non era in grado di amministrarsi e che a lui avrebbero provveduto essi stessi con il buon cuore. Nell'imbarazzo generale il padre annunciò la decisione presa in antecedenza con la madre di intestare all'ultimo un appartamento. "Voi lo aiuterete ad amministrarsi e col buon cuore  sopperirete al resto”.
Artibano deduceva dunque che, nella Chiesa, il fratello prete destinasse in modo stabilito, al fratello povero ciò che è necessario al suo sostentamento. Scrisse lettere: aL vescovo Aldo, al card. Ballestrero. allora presidente della Cei e infine al Papa. Il vescovo Aldo lo seguì in modo accorato. Artibano decise che, all'avvio del sistema, non si sentiva di accettare l'assegno dell'Istituto del sostentamento del Clero e perciò lasciava il ministero attivo. Era il gennaio del 1987.
Per amore della sua Chiesa non volle rendere pubblica la sua obiezione di coscienza, perché i mezzi di comunicazione non la snaturassero in modo scandalistico. Io gli scrissi lettere che lo fecero soffrire, in nome dell'amicizia fraterna. Egli amava la Chiesa in modo viscerale, la voleva Sposa bella, senza macchia ne ruga. Lo esortavo alla pazienza, per il lento cammino della Chiesa “semper reformanda''. Lo esortavo a non disgiungere la carne di Dio nei poveri dalla carne di Dio nell'Eucaristia. Lo rimproveravo: una fonte non può negare la sua acqua agli assetati: egli confessava ogni giorno per molte ore ogni sorta di penitenti. Poi mi sono rasserenato.
Ogni giorno egli si comunicava con immenso amore. Alla Messa in coena Domini, nella chiesa di Cavagliano. l'ho sempre ricordato. ''Qui Artibano vi ha insegnato e testimoniato che l’Eucaristia non può essere disgiunta dalla lavanda dei piedi. Qui l’avete visto in ginocchio lavare i piedi al Fiorenzo con la gamba rotta e baciarglieli come ha fatto Gesù nell’ultima cena. Egli fa l’Eucaristia con la carne dei poveri e si comunica stando con loro alla mensa del Signore ". Alla Messa crismale del giovedì santo non mancava mai per sentirsi fratello prete con noi preti. E il ministero della riconciliazione? Credo che l'abbia ancora amministrato in segreto. Ma fece molto di più. Se la riconciliazione con Dio è un progressivo cammino dal peccato alla grazia, dalla disperazione alla festa del perdono, allora posso assicurare che egli lo ha servito e assecondato straordinariamente. Quante creature disperate sono tornate ai sacramenti e alla pace grazie alla sua vicinanza d'amore assiduo e incoraggiante!
La liturgia delle ore. alla cui integrità rimase fedele sempre, era il suo cantico nuziale. Soleva dire, con accenti da Cantico dei Cantici, che la preghiera è "Fare l'amore con Dio".
Che dire di una scelta così radicale?
Quello che gli dicevo con le parole di don Abbondio nei confronti del cardinal Federigo: "0h che sant’uomo. Ma che tormento!.
Un giorno cercavo di spiegare il suo gesto ad un brav'uomo di campagna qui alla Badia, il quale concluse così: “U capì. L’Artibano l’è un estremista dal Signor". Per l'equilibrio dell'economia della grazia nella Chiesa forse abbiamo bisogno di questi contrappesi; a tante collusioni e "minimismi" giova qualche estremismo vissuto da chi è pronto a pagare sempre e tutto di persona.

L'IMMEDESIMAZIONE TOTALE

Iniziò il periodo della sua immedesimazione totale con gli ultimi, in silenzio, con gioia serena, come il fuoco nel ceppo. Lavorava come boscaiolo e dava lo stipendio ad alcune famiglie povere.
Abitava a S. Agabio con Pasquale, l'amico di sempre, fedele e taciturno, "saggio come un patriarca", diceva Artibano. In ogni frammento di tempo libero girava dovunque ci fosse una sofferenza da lenire, un'amicizia da tenere desta. Sembrava inviato da Dio al posto giusto, nel momento giusto per chi aveva bisogno di grazia.

L'ULTIMA MALATTIA

In questi ultimi anni fu debilitato dalla malattia non ben definibile. Era lucido, ma non sempre la parola della mente trovava la via di espressione sulle labbra. Pativa di amnesie. Camminava con fatica. Si era fatto dolce, indifeso come un bambino; un agnello ferito e sorridente. I familiari, la cognata Ivana, i nipoti e soprattutto il fratello Annibale e la sorella suor Maria Grazia gli furono vicinissimi, a Domodossola e sempre più nel nido di via Gnifetti. Ora anche lui era totalmente il povero Cristo, con le stigmate; dell'amore crocifisso. Incontrava spesso e volentieri il vescovo Renato che amava moltissimo. Nell'ultimo incontro (ero anch'io presente) il vescovo gli chiese se aveva scritto testimonianze o ricordi dei suoi incontri di grazia. Artibano si commosse e in silenzio pose una mano nell'archivio del cuore in cui tutto era custodito.

LO SMARRIMENTO LA MORTE

Giovedì 19 uscì come suo solito nel pomeriggio per andare a Messa. Proseguì per viale piazza d'Armi al reparto di recupero, per trovare don Giovanni Vandoni. il "padrin" che vi è ricoverato. Fu L’ultimo incontro -è simbolico- con il padre spirituale della sua formazione in seminario. Tanti eventi nella vita di Artibano sono simbolici. Anche i giorni della sua scomparsa, della sua morte e del suo ritrovamento: sembrano la scansione del triduo pasquale, dal giovedì al sabato santo, e alla Pasqua di resurrezione. È caduto presso la ferrovia, come per evocare il tempo in cui maturò la sua vocazione, sulle strade ferrate. È morto solo, in silenzio, nascosto tra gli sterpi, vicino alla moschea.
Lunedì sera, era già buio, con alcuni amici mi sono recato in quel luogo. Nella vasta sterpaglia non era agevole individuare il posto in cui è caduto. Davanti alla moschea sostavano alcuni islamici. Chiesi ad uno di essi, un uomo ancor giovane, se mi sapeva indicare il luogo dove l'avevano trovato. Ci condusse conpremura e diceva: "Ci dispiace. Non ci siamo accorti che era lì. Era nascosto dall'erba".
E prendendomi per il braccio, in modo accorato soggiunse: "Ma noi abbiamo pregato per lui ". La prima preghiera esequiale per lui l'hanno fatta i fratelli dell'Islam. Nella liturgia esequiale cristiana cantiamo: "Ti accolgano i poveri e con Lazzaro povero in terra tu possa godere tutti i beni eterni de! cielo". E’ grande ormai la schiera degli amici di Lazzaro che lo accolgono alla mensa del Signore, Li vorremmo nominare ad uno ad uno, come egli li ha amati ed essi lo hanno amato. Ma i loro nomi sono tutti scritti nel "martirologio umile", come soleva dire.
Il Segno di Dio che è stata la vita di Artibano ci dovrà interpellare ancora a lungo e in profondità.

« Ti accolgano i poveri e con
Lazzaro, povero in terra, tu possa
godere tutti i beni eterni del cielo»
(dai canti della liturgia funebre)
La grande schiera dei poveri che
hai amato ad uno ad uno, ti
accolgano come loro fratello; hai
condiviso con loro tutto, anche la
morte, ora condividi con essi la
gioia del Signore.
Il Vescovo e tutto il Presbiterio
diocesano annunciano il passaggio alla vita eterna di
don Artibano Di Coscio
di anni 68

 

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MEMORIE DI DON ARTIBANO
Testimonianza di un caro amico

Quando ci capitava di parlare della morte, Artibano amava ricordare il racconto della tradizione ebraica sulla morte di Mosè, a commento del primo versetto del Cantico dei cantici. La morte come il bacio di Dio sulla bocca. Dio baciò sulla bocca Mosè e inspirò, nel suo Amore, l'anima che aveva infuso in lui al momento del concepimento. Amava ricordare la morte e sepoltura di Gesù. Morto sulla croce, tra due ladroni, deposto tra le braccia della Madre, deposto nudo nel sepolcro, avvolto dalla sindone. Al funerale poca gente spaurita. Ricordava S. Massimiliano Kolbe. Al crematorio di Auschwitz non ebbe neanche il funerale. Egli avrebbe voluto scomparire così. Come i poveri, come i santi martiri.
Il nostro Vescovo per primo e noi con lui abbiamo riconosciuto nella sua morte povera il suggello di tutta una vita.
Ha desiderato con tutto il cuore immedesimarsi negli ultimi, nei fragili, nei derelitti. Dio gli ha concesso di farlo anche in morte. Forse non avrebbe voluto che ora noi facessimo per lui solenni celebrazioni. Ma noi non possiamo non riunirci, raccogliere i nostri ricordi, ricapitolare tutti i segni, cantare l'Amore misericordioso e la beata speranza, raccogliere il messaggio della sua vita, consegnarlo al Signore. È la Pasqua della resurrezione che noi celebriamo. Con semplicità. Con forte speranza. Con impegno e santi propositi.
Voglio ricordare che la nostra preghiera esequiali, nella luce cristiana della Pasqua del Signore risorto, è stata preceduta.
Lunedì scorso, alla sera, era già buio, mi sono recato con Giuseppina al luogo in cui è caduto e fu ritrovato. È davanti al luogo di preghiera degli Islamici. Ho chiesto ad uno di loro, un uomo ancora giovane, se mi sapeva indicare i! luogo preciso. Lo ha fatto con premura, scusandosi del fatto che essi non l'avevano visto, perché era nascosto dall'erba. E, prendendomi per un braccio, in modo accorato aggiunse "Ma noi abbiamo pregato per lui".
La prima preghiera esequiale l'ha ricevuta dai fratelli dell'Islam.
Siamo qui in tanti per dirgli il nostro amore riconoscente. Ciascuno con ricordi personali e indimenticabili.
Artibano amava con le dimensioni dell'Amore di Dio, la profondità, l'altezza, la lunghezza e la larghezza. Chi ama con il cuore di Dio fa sentire ogni persona amata come fosse l'unica e la prediletta. La magnanimità è la dimensione dell'amore largo, che non fa cadere nessuno dal cuore. La longanimità è l'amore lungo, che va oltre ogni ostacolo e si prolunga all'infinito. Ma la predilezione del suo cuore fu per i fragili, i sofferenti, gli indifesi, gli ultimi. Per ciascuno di loro fu fratello, padre e madre. Ha dato a loro tutto. Non si è riservato niente per sé.
L'immagine che più di tutte simboleggia questo materno amore per i poveri, e che Artibano amava particolarmente, è quella di Francesco che bacia il lebbroso. La proponeva con il commento geniale che un giorno ne fece Don Germano ad un corso di Esercizi per i preti della diocesi, se non erro, a Cannobio e non ricordo in che anno.
Don Germano notava come Francesco non fece nulla al lebbroso sul piano del servizio. Non gli disinfettò le piaghe. Non fece fasciatura. Non lo portò in un lebbrosario. (Poi chiederà di farlo alle mani dei suoi frati e alle mani delicate di Chiara e delle sue sorelle) Francesco fece molto di più. Con un bacio di fraternità, vincendo l'inevitabile ripugnanza, raccolse nel consorzio umano l'emarginato totale. E, baciando il volto piagato del fratello, ravvisò il volto bellissimo dello Sposo. Un giorno ne parlammo al Vescovo Renato ed egli, pacato e fine, concluse. "Già dobbiamo tenerlo presente in ogni servizio ecclesiale, non basta far bene la fasciatura se manca il bacio alla persona".
Dal bacio di Francesco al lebbroso cominciò il Francescanesimo: lo afferma egli stesso all'inizio del suo testamento.
In seguito, per invito dall'Alto, restaurerà il Crocifisso di S. Damiano e la chiesetta in rovina. Infine, sul monte, sarà segnato dalle stigmate del dolore e dell'Amore, dell'Amore che assume il dolore. Ogni bacio al fratello che soffre è come restaurare sul suo volto interiore la bellezza dell'icona divina dell'Amore crocifisso.
Chi si vota a questo Amore ne porta le stigmate. Artibano visse per la missione di questo bacio. E come Francesco, è morto sulla nuda terra. Conosciamo tutti le tappe della sua vita: dalla giovinezza vissuta a Vogogna, all'entrata in Seminario, al successivo ministero. Sentiremo il bisogno di ripercorrerle con la memoria del cuore. Dopo la sua ordinazione, il 24 giugno 1972, svolse il suo primo ministero qui a S. Agabio, formatore appassionato dei giovani che educò all'amore dei poveri. Passava spesso le notti a vegliare persone anziane e sole e i giovani vedevano.
È giusto che ora egli sia accolto qui, in questa chiesa dove celebrò le sue prime Eucarestie a questo Altare. Qui era il rifugio della via della Riotta, nel vecchio cortile che non c'è più, dove trovavano un letto per dormire i disperati e i dispersi. E lui dormiva con loro. Gli ospiti fissi formarono la sua piccola famiglia di elezione.
Qui nel nascondimento, visse gli anni che precedettero la sua malattia, nella casa
ospitale di Pasquale, l'amico fedele di sempre.   
Qui, come per un segreto richiamo, è venuto a morire, tra gli sterpi di via   Precerutti,   davanti   alla moschea.
Avremmo potuto aggiungere alle letture della Messa il passo di Giovanni 12,24. "Se il grano di frumento, caduto in terra non muore, resta solo. Ma se muore porta molto frutto ". Tutta la vita di Artibano è un segno che Dio ci ha dato. Grano di frumento caduto nella terra per fruttificare.
Noi dobbiamo assumerci un impegno. Il messaggio della sua vita ci dovrà interpellare ancora a lungo e in profondità. Per una coincidenza non casuale, oggi la chiesa celebra la memoria di S. Vincenzo De Paoli. Le parole di S. Vincenzo riportate nell'ufficio delle letture sembrano uscire dal cuore e dalle labbra di Don Artibano.
Molti mi hanno comunicato di aver scritto ciò che il cuore ha loro suggerito in questo momento in cui dal cuore emergono tanti ricordi. Raccomandiamo di conservarli come primo intento per approfondire il messaggio che Artibano ci consegna. Alcuni canti di questa liturgia piacevano molto a don Artibano. Spesso li cantava o li suonava con l'armonica a bocca. Soprattutto "Resta per sempre Signore con noi" e "Andrò a vederla un dì". Il canto con cui l'accompagneremo all'uscita da questa chiesa e lo consegneremo alla Madre della tenerezza.

 

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A RICORDO DI DON ARTIBANO
Uno scritto di suo nipote Luca

Ciao Arti,

ti ricordi quando tu ed io e molti altri ragazzi di Vogogna salimmo in Marona quell'estate dei primi anni '60?
Ti ricordi quando tu ed io e molti altri ragazzi di Vogogna, nelle notti d'estate, andavamo ai Calami a vedere le stelle nei primi anni '60?
Ti ricordi quando mi portavi in Vespa, lì davanti, e tu andavi a concordare con le Ferrovie Vigezzine la posa di quel "dolmen" in via Mizzoccola per ricordare un sacrificio di giovani vite che ti risparmiò? Ti ricordi quando tu ed io ci siamo incontrati in una Salerno avvolta nel buio, io giovane recluta e tu in cerca di qualcuno da confortare, alla fine degli anni '70?
Ti ricordi quando ogni mia maceria era tua sofferenza e partecipazione e questo in tutti gli anni della mia vita?
Ti ricordi quando camminavamo insieme, di notte, e tu diventavi confessore, amico e consigliere? Ti ricordi Arti?
Ti ricordi di quanto hai dato senza mai nulla chiedere e ricevere in cambio?
Hai fatto mai un calcolo, in vita tua, del disavanzo tra il dare e l'avere? No che non l'hai fatto, Arti. Non l’hai fatto mai.
Io che sono tuo nipote e tuo figlioccio (ti ricordi il mio battesimo, Arti?) ora posso ammettere di avere avuto qualche volta paura di te, della tua libertà, del tuo anticonformismo, della tua generosità e della tua fede.
Perché il tuo essere triturava le coscienze e istillava dubbi in tutti quelli che ti conoscevano.
E i dubbi fanno paura, Arti.
Sei stato un uomo libero, Arti, tanto libero da rinunciare ad ogni istante di libertà per dedicarti agli altri.
Voglio ora pensare che la tua morte e la breve ma straziante malattia della memoria e del tempo che l'ha preceduta siano in parte una tua scelta. Perché tu, Arti, tra il facile e il difficile hai sempre scelto, da uomo libero, l'impossibile.
E lo hai fatto senza mai un passo indietro.
Per questo e per mille altre cose ancora, per le tue lettere per i miei compleanni e onomastici, per le tue tavolette di cioccolato, per aver fatto il prete e il taglialegna con la stessa umile dignità e allo stesso tempo grande coraggio, per avermi voluto bene come me ne hai voluto, Arti, oggi ti piango come una delle poche persone che avranno, per sempre, il mio affetto e il mio ricordo ma anche la mia ammirazione più assoluta, la mia stima più totale.
Quella che è solo per i grandi uomini che un tempo venivano chiamati profeti e venivano compresi da pochi.
Dagli altri soltanto molto tempo dopo.
Ciao Arti. Ciao zio.

Luca Di Coscio

 

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COM'ERA DON ARTIBANO
di don Antonio Visco

Quando un amico parte mi vengono spontanei due atteggiamenti: il primo è quello della Misericordia di Dio perché perdoni le sue debolezze umane; il secondo è quello di ripensare quanto la sua vita e il suo passare in questo mondo mi lascia, come testamento e come stimolo. Quando poi questo amico è anche per me un maestro, la rivisitazione della sua vita è ancora più importante, perché su quella bara vedo sovrapporsi una cattedra dove si insegna con la vita la "Sequela di Cristo". È proprio questo il caso dell'amico, fratello e maestro don Artibano.
L'ho conosciuto nel fiore della sua giovinezza e poi dopo tanti anni nella decadenza della malattia. Nel cuore della sua attività ci siamo visti poco soltanto per sporadici scambi di comunicazioni sui nostri percorsi. Gli incontri degli ultimi mesi, quando già la malattia stava minando la sua forte fibra sono stati molto belli più per quanto ricevevo che per quel poco che riuscivo a dare. Ripensando al tutto mi sembra di individuare tre direzioni sulle quali voglio meditare e misurarmi e sulle quali invito gli amici qui presenti a riflettere con me.

UNA FEDE PROFONDA, RADICALE, AUSTERA

Alle volte mi sembrava anche una fede troppo esigente per se stesso e dolcissima nei confronti dei poveri che incontrava e con i quali condivideva tutto. A tratti emergeva in lui un'immagine di Dio molto dura sui cui tratti era quasi difficile leggere la grande bontà del Padre. Se per lui c'era l'austerità del Padre, per i suoi "gioielli" non esisteva che la dolcezza della Madre. Ricordo nei nostri incontri: "Dio è grande del nostro cuore, anche quando il nostro cuore ci rimprovera qualcosa". Una fede così radicale mette quasi paura in chi l'osserva fuori, ma potrebbe in qualche momento turbare anche chi la vive dentro di sé. Penso alla fede dei profeti.

LA SCELTA DEI POVERI

È stata la scelta fondamentale scaturita della scelta radi cale di fede. Austero con se stesso, dolcissimo con i poveri, con i poveri. In tutto questo la differenza sta soltanto in una brevissima parola. Una parola corta che fa differenza grande. La scelta è stata non per i poveri, ma di vivere con i poveri facendosi povero. Noi, quando ce la facciamo, puntiamo al "per". Lui, con tutto se stesso e fino in fondo, ha scelto il "con" la sua grandezza è tutta in un "con" mentre, la nostra mediocrità, sta tutta in quel "per" i poveri. Lui con la vita, noi, spesso solo con le parole o con qualche sforzo in più. E ci sembra già tanto!    

LIBERO E FEDELE NELLA SUA CHIESA

La chiesa è stata la famiglia della fede che amava e voleva più coerente e meno compromessa ma della quale sapeva di trarre la fede e di conservarla. Non è facile mettere insieme fedeltà e libertà. Lui ha provato pagando di persona con un lavoro umile e faticoso con il quale provvedeva per sé e per i suoi amici diseredati, rinunciando anche alla gioia di presiedere l'Eucaristia e di guidare una Comunità Preghiera... meditazione... lavoro... servizio... amicizia. La sua vita è stata tutta qui nel silenzio e nel nascondimento perché nessuno potesse vedere quel seme nella terra che marciva per fare nascere scelte più coerenti e per sostenere la vita dei "non amati". Ricordo uno degli ultimi incontri quando le cronache parlavano di possibili dimissioni del papa. Ho chiesto un suo parere formulando così la domanda: "Secondo te, è più evangelico servire Dio fino alla morte anche in queste condizioni di salute, oppure rinunciare a tutto e vivere nel silenzio fino alla morte?" Mi guardò... stette in silenzio e poi disse "Non lo so... ci devo pensare". Ho capito dopo la sua risposta....

AMICO FRATELLO E MAESTRO ARTIBANO...

... donaci un po' più di coraggio nelle nostre scelte verso i diseredati del mondo. Toglici la paura di dare e aumenta in noi il coraggio di rischiare di più come persone, come comunità e come istituzione. Tu ci hai segnato la strada. Tutti dobbiamo provare a percorrere qualche passo in più, con umiltà sapendo che non è mai troppo tardi.

AMICO FRATELLO E MAESTRO ARTIBANO...

... che hai amato nella libertà e nella fedeltà la tua e nostra chiesa fino alla rinuncia delle cose più grandi e più belle per l'amore risentito, ma non spento, verso di essa, aiutaci a sentirci adulti liberi e responsabili in questa nostra chiesa sempre da cambiare a partire da noi stessi.
Fa che la paura di osare di più, in parole e in opere, lasci il posto alla speranza di essere testimoni di un Vangelo meno incartato pur nella coscienza della nostra fragilità umana.

AMICO FRATELLO E MAESTRO ARTIBANO...

... la tua tenerezza verso i tuoi familiari ai quali non è mancata la tua presenza dolce e attenta ci stimoli a rapporti umani meno possessivi e più delicati. Così come l'affetto per il Vescovo e per gli amici ci porti a nuovi rapporti amicali e a sereni incontri con l'autorità nella chiesa.
Grazie perché sei stato con noi! Aspettaci e confortaci quando verremmo là dove oggi tu sei.

 

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DON ARTIBANO: IMPOSSIBILE DIMENTICARTI
di don Paolo Pessina

Di solito quando muore una persona vado a cercare nel Vangelo quell'episodio, quella parola che può aiutarmi a leggere la vita della persona defunta.
Mi è stato difficile per don Artibano perché non c'è pagina di Vangelo che lui non abbia vissuto. È stato un prete che ha vissuto tutto il Vangelo.
È proprio il caso di dire che Dio ha fatto veramente delle meraviglie in lui.
Ma c'è una cosa che ha saputo fare benissimo: quella di farsi povero tra i poveri.
Non è stato un prete che ha parlato dei poveri, ma un prete che si è fatto povero come il Signore, che umiliò se stesso, mettendosi alla pari degli uomini. Tanti non hanno capito perché a un certo punto aveva deciso di autosospendersi dal celebrare l'Eucaristia. La sua vita era una Eucaristia vissuta perché si era fatto pane lui stesso.
Parola e vita trovavano in lui una perfetta sintonia. Era difficile per questo trovano in contraddizione. Era tutto d'un pezzo. Tanti di noi più che apprezzarlo lo compativano perché non riuscivano a capire la stranezza dei modo di vivere il suo essere prete. E 'stato uno dei pochi (l'altro è fra Elio Piretti) che ha capito e preso sul serio il messaggio che scaturisce dai mistero dei "Sacro Cuore " a cui è dedicata la nostra chiesa di Vogogna.
Don Artibano ha amato alla maniera di Gesù: gratuitamente, chi non meritava di essere amato e abbattendo tutte le barriere. Ci ha fatto sentire in colpa...
Mi auguro che la sua vita possa essere raccontata e diffusa e che la Comunità di Vogogna si senta orgogliosa di avergli dato i natali.
Grazie don Artibano e dal cielo proteggici ed aiutaci ad essere degni del mistero dell'Amore di cui ci gloriamo di esserne i custodi.

 

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I PREZIOSI CONSIGLI DI DON ARTIBANO
Don Ernesto ci svela il suo carattere - di don Ernesto Bozzini

Così iniziavo quei pochi scritti che lo aggiungevano dall'America Latina e così lo chiamavo spesso. Volevo scorgere nel suo nome una donazione che sapevo costante nella sua persona.
Ricordo nel 1979, al mio primo rientro, l'incontro a Cavagli ano.
Dopo avermi tartassato di domande a tutto campo, come era solito fare, domande che andavano dalla Chiesa alle multinazionali, lasciandomi senza risposte o meglio facendomi sorgere un'infinità di altri interrogativi, ci siamo ritrovati con un gruppo di ragazzi del catechismo.
Mi sorprese il luogo dell'incontro: semplice, preparato per l'occasione con una cartina dell'America Latina e dell'Uruguay e i ragazzi già pronti, pure loro, a bersagliarmi di domande.
Don Artibano li aveva addestrati a non rimanere sulle formalità e sulle generalità, ma già da piccoli li orientava alla realtà del sottosviluppo e della miseria mondiale che hanno le loro cause... Ho voluto inviare questo "Ritorno", anche se mi trovo tuttora in Italia, in Diocesi, dopo aver ascoltato domenica scorsa la parola del Vangelo; era tra i brani più citati da don Artibano e quando te lo spiattellava davanti nella conversazione ti faceva sobbalzare: "le prostitute e i pubblicani vi precederanno nel Regno dei cieli".
La grazia del Signore mi ha condotto in questi mesi ad avere avuto qualche contatto in più ed anche qualche uscita insieme.
Ormai più che le parole era tutta la sua vita a parlare, mentre faceva uno sforzo quasi sovrumano perché ancora una volta i grandi temi evangelici continuassero ad essere vita in ognuno di noi. Ho tra le mani il libro di Rene Voillaume "Come loro ", libro che don Artibano aveva dato, qualche tempo fa, alla mia famiglia e sul quale sto meditando. Andando con lui, qualche giorno prima della sua morte, a Miasino, alla Casa del Clero, per celebrare con altri amici i trent'anni di ordinazione sacerdotale, ho espresso la mia gratitudine per le sottolineature che ho riscontrato nel libro soprattutto nei capitoli: "Amore casto" e "Povertà e amore", che mi avrebbero reso più facile la lettura.
Egli con la sua arguzia mi ha risposto che le scelte devono essere mie e non degli altri. Mai don Artibano ti dava pace, sempre ti orientava a scoprire la volontà di Dio.
Ora la sua morte è diventata un segno per tutti noi. La Sapienza del Padre ci aiuti a leggerlo perché la nostra testimonianza trasformi la storia in Regno di Dio.

Cerano, 30 settembre 2002

 

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PERCHE' IL MESSAGGIO NON RESTI NEL SEPOLCRO
Una grande figura... un piccolo ricordo - di Antonio Visco

Abbiamo voluto solo aprire la strada alla riscoperta di Artibano e della sua vita: "Un san Francesco di oggi ". La sua vita non può finire sotto una lapide. Sia perché crediamo che viva nella Casa del Padre; sia, e questo è ancora più difficile, perché riteniamo che il suo messaggio di vita deve entrare di più nella nostra chiesa e nel nostro mondo passando dal nostro cuore.
Ci auguriamo che altri amici prendano in mano questo lavoro storico da un parte e ricco di stimoli per il futuro dall'altra.
Noi siamo disposti a collaborare e a pensare che la terra Ossolana continua a dare luci e messaggi per tutta la diocesi.
È vero che Artibano era umile e non voleva essere troppo pubblicizzato. È anche vero che la morte apre un'altra stagione, per chi parte e per chi resta..
Così il tempo che passa non cancella i ricordi, ma esalta le testimonianze e i testamenti  di  chi  abbiamo avuto   la   fortuna   di incontrare lungo il cammino della vita terrena e che ci aspetta nella Casa del Padre. La sua infanzia e la sua adolescenza avrebbero bisogno dell'aiuto della famiglia per essere ricostruite.
Il suo essere prete necessita di un approfondimento ecclesiale da parte dei sacerdoti amici. La vita dei suoi poveri avrebbe bisogno di essere raccontata, nei rapporti con lui, da quelli che ancora sono rimasti o da chi ha ancora ricordi vivi. Noi di "Alternativa a..." ci siamo per questa impresa che potrebbe essere raccolta in un libro da pubblicare quanto prima.

 

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